Il primo scontro al calor bianco di un certo livello sulle vaccinazioni avviene nell’autunno del 2015, a fine ottobre, quando su Sanita24 uno dei più quotati epidemiologici italiani attacca duramente il Piano vaccinale 2016-2018 elaborato dai presidenti delle maggiori istituzioni sanitarie e di alcune società scientifiche. Vittorio Demicheli, ex direttore generale della Sanità in Piemonte, che fa ricerca anche per la Cochrane Collaboration Vaccines Field, una delle associazioni più quotate al mondo nel campo delle revisione scientifica, va diretto al cuore: “…il calendario riportato all’interno del Piano nazionale di vaccinazione” scrive Demicheli, “è la copia fedele del “calendario per la vita” sponsorizzato dalle industrie del farmaco”.
Parole pesanti che non vanno giù ai responsabili dell’Aifa, dell’Iss, del Consiglio superiore di sanità e di altri, i quali rispondono – sempre su Sanita24 – altrettanto duramente tre giorni dopo: “…il Demicheli afferma che “il calendario del piano è stato fedelmente copiato dal “calendario per la vita” sponsorizzato dalle industrie del farmaco.
Questa affermazione, oltre ad essere falsa, è pericolosissima per la Sanità Pubblica, perché, provenendo da un dirigente pubblico che dovrebbe contribuire a fornire informazioni veritiere all’opinione pubblica, genera l’idea o lascia supporre che responsabili istituzionali, scienziati, medici e operatori che hanno contribuito alla stesura del Piano hanno operato semplicemente in base a una spinta sponsorizzatrice o peggio corruttiva da parte delle industrie produttrici di vaccini, invece che all’evidenza scientifica e all’interesse dei cittadini, che sono stati invece gli unici punti di riferimento per l’elaborazione del Piano”. I firmatari annunciano poi il ricorso a “tutte le iniziative necessarie, anche giudiziarie in sede civile e penale, per tutelare la propria reputazione lesa dalle dichiarazioni in oggetto”.
Ma si tratta di un annuncio, senza seguito. Che tuttavia ha un effetto molto forte, perché nei confronti di Demicheli dal quel momento viene eretta una barriera, invisibile eppure concreta, per emarginarlo dalla comunità scientifica. Però le parole dell’epidemiologo fanno comunque breccia non nel grande pubblico, bensì tra i ricercatori più attenti e più sensibili ad una lettura critica delle scelte di politica sanitaria sui vaccini. “Nella mia esperienza di medico i sistemi di coercizione o sanzionatori, che il Ministero ha intenzione di introdurre nei confronti dei medici” scrive Demicheli, “non hanno mai portato a risultati positivi. Dunque, la proposta inserita nel nuovo piano non rappresenta, a mio avviso, una scelta vincente. L’unica soluzione plausibile, per superare i problemi legati alla diffidenza, comporta il rispetto di principi quali la trasparenza e l’indipendenza decisionale.
Purtroppo, troppo spesso, questo non accade. L’esempio del vaccino per la pandemia influenzale e dei relativi conflitti di interesse presenti nell’Organizzazione mondiale della Sanità, rappresenta il caso più eclatante e i risultati ora sono sotto gli occhi di tutti”, scrive Demicheli, affondando poi la lama: “Ma, evidentemente, l’esperienza indicata non è stata sufficiente e anche nel caso del nuovo calendario dei vaccini si corre il rischio di alimentare quella che viene definita la “teoria del complotto”.
L’accenno indiretto ai conflitti di interessi tocca un nervo molto scoperto. Tra i firmatari della lettera di denuncia contro l’epidemiologo compaiono infatti i nomi di società scientifiche in parte finanziate, in modo non condizionante (come recita la formula di rito), dalle aziende di Big Pharma. Tra i nomi c’è anche quello di Sergio Pecorelli, nel ruolo di presidente dell’Aifa, che dopo alcune settimane rassegna le dimissioni proprio per un presunto conflitto di interessi.
In realtà le convinzioni di Demicheli non restano del tutto lettera morta, perché altri studiosi – nettamente favorevoli alle vaccinazioni – manifestano un equilibrato e ragionato dissenso. Non sono “alternativi” al sistema, perché lavorano e ricercano all’interno di strutture scientifiche molto accreditate. Il confronto non avviene sui quotidiani e in tv, che danno spazio quasi esclusivamente ai vaccinisti oltranzisti, ma sulle riviste specializzate, sui siti scientifici non border line bensì dichiaratamente a favore della profilassi vaccinali. La contestazione, la critica è profonda.
Ad aprile, quando in Emilia Romagna è stata già imboccata la strada dell’obbligo vaccinale per l’iscrizione all’asilo nido, Antonio Clavenna e Maurizio Bonati del Dipartimento di Salute Pubblica del Mario Negri, il “regno” del professor Silvio Garattini, pongono domande e sollevano dubbi in quantità: “Nel valutare gli interventi coercitivi, a fronte della necessità di tutelare sia la libertà di scelta che la salute dell’individuo e della comunità, in situazioni di pericolo può essere giustificato porre dei limiti alla libertà individuale al fine di salvaguardare l’intera comunità. Ma il calo delle coperture vaccinali, per quanto preoccupante, rappresenta un pericolo concreto e imminente per la salute di tutti?
La scelta dell’obbligo per l’iscrizione al nido (e, in alcuni contesti geografici, alla scuola materna) pone un ulteriore quesito etico: è giustificabile che la società punisca il bambino con l’esclusione dalla comunità per una scelta non compiuta da lui, ma dai genitori? E infine: altri provvedimenti e iniziative atte ad aumentare le coperture vaccinali e ad invertire il trend negativo sono stati attivati e con quali risultati?”.
È una stroncatura di merito e di metodo nei confronti dell’obbligo, poi introdotto per legge a livello nazionale a fine luglio. I due sostengono che le evidenze scientifiche sono controverse (loro non lo dicono, ma uno dei temi più discussi è la famosa percentuale che garantirebbe l’immunità “di gregge”: secondo alcuni il 93 per cento di copertura vaccinale potrebbe essere sufficiente), che l’obbligo avrebbe un impatto differente da Regione a Regione (anche perché l’accesso agli asili nido è molto variabile, e solo un quarto della popolazione interessata frequenta queste strutture). E comunque prima di decidere, scrivono i due, “è necessario conoscere le coperture vaccinali aggiornate, quanti sono i bambini con vaccinazioni posticipate rispetto a quanto previsto dai calendari vaccinali (fenomeno scarsamente indagato), quanti sono i bambini che frequentano il nido e quanti di questi non sono vaccinati. È stato fatto?”. La risposta la sappiamo: non è stato fatto. Neanche alla vigilia della presentazione del decreto Lorenzin né in seguito.
Ma c’è una questione di fondo, che è poi il motivo dominante di larga parte delle critiche al decreto/legge: la vaccine hesitancy. I due ricercatori citano uno studio condotto in Regione Veneto secondo cui la metà dei genitori “antivaccinatori” lo sono non per convinzione, bensì per “esitazione”, “insicurezza”. “Quindi una quota dei tassi di non copertura sarebbe potenzialmente recuperabile, senza coercizione, ma con l’educazione e l’informazione. Non fornire adeguate risposte ai genitori che nutrono dubbi e timori sui vaccini potrebbe spingere verso il rifiuto anche chi avrebbe scelto diversamente se ascoltato e rassicurato. Inoltre potrebbe ridurre la fiducia nelle istituzioni e negli operatori sanitari sia nella popolazione generale che tra i genitori che vaccineranno i figli non perché convinti, ma perché costretti. Non è da escludere che possano caratterizzarsi nidi privati per la forte presenza di bambini non vaccinati (“asili alternativi” per aggirare l’obbligo), che rappresenterebbero contesti ad alto rischio di attivare focolai di malattie infettive.
Questi rischi sono stati adeguatamente valutati? Quali interventi sono previsti?”. E ancora: “La scelta di imporre l’obbligo di legge per alcune vaccinazioni nacque in un contesto temporale, sociale ed epidemiologico differente da quello di oggi. La finalità di tutelare la salute di tutti i bambini che frequentano il nido non giustifica la decisione di escludere chi non è vaccinato contro il tetano (malattia non contagiosa) o contro l’epatite B (la probabilità di contagio tra bambini piccoli è estremamente rara)”. La conclusione è lapidaria: “la Repubblica si basa sulla partecipazione dei cittadini e non sull’abnegazione dei sudditi”.
L’articolo dei ricercatori del Mario Negri smonta anticipatamente la proposta della ministra della Salute. Ma tutte le obiezioni, le problematiche, le perplessità, non vengono prese in considerazione dalle autorità sanitarie perché l’obiettivo non è la pubblica salute: è soprattutto politico. Si mira a imporre invece di informare, ad obbligare invece di coinvolgere, a punire invece di convincere. E su questi leitmotiv che si crea una spaccatura nel Paese, che vede da una parte la maggioranza della comunità scientifica e dei cittadini italiani – i quali aderiscono in larghissima parte alle vaccinazioni senza porsi troppe domande – e una minoranza di studiosi e ricercatori e medici (con posizioni molto articoate tra di loro), e di cittadini, soprattutto madri e padri, molto attivi nel contestare con veemenza le decisioni ministeriali.
Questi genitori vengono trattati da deficienti, ignoranti, imbecilli, idioti, somari. Eppure, come conferma anche una ricerca recentissima di Observa, quel 43 per cento favorevole alla libera scelta ha una istruzione medio superiore (più alta rispetto a quella dei no vax). E in larga parte sono persone molto più informate della media, leggono e rileggono, e sono convinte che per il bene dei loro figli bisogna andarci molto piano con le vaccinazioni. Sono in larga parte famiglie incerte, dubbiose, scettiche.
Qualsiasi critica, anche se moderata, viene snobbata. Ogni altro problema di assistenza e salute che riguarda l’intera popolazione viene accantonato. La sanità nel frattempo peggiora pesando sempre di più sulle tasche degli italiani – che nel 2016 hanno speso 37 miliardi di euro per curarsi – e condizionando la vita di milioni di persone che non hanno i mezzi per affrontare nei tempi giusti e necessari le loro malattie. Non si può discutere di altro se non di vaccini, e secondo le modalità imposte da una parte del mondo scientifico, che crea barriere apparentemente insormontabili, sostenendo che la profilassi sia un argomento scientifico del quale possono discutere soltanto le persone con titoli. E queste stesse persone – per cercare di isolare chi chiede un confronto – ripetono fino alla noia gli esempi da prima elementare – 2+2 fa 4, la Terra non è piatta…- unicamente per affermare che la scienza non si discute, che non è democratica.
Questo comportamento infantile è stato però smentito. Dai fatti. Perché i vaccini sono diventati una questione nazionale, sulla quale tutti avevano – e hanno – diritto di parola. Perché se si minaccia di togliere la patria potestà a genitori riottosi, non si può certo pretendere che tante madri e tanti padri, restino in silenzio, ubbidienti e ligi ai doveri imposti per legge. E se un assessore vuole chiudere gli asili ai non vaccinati, come si può pretendere che una decisione di salute pubblica non venga discussa dalla comunità intera? E infatti, come la vecchia talpa, gli anti e i free vaxx, che scavavano da tempo sotto traccia, escono allo scoperto quando la discussione deflagra nel Paese, invadendo il web e le piazze, nonostante la scarsa o nulla attenzione dei mass-media tradizionali. Al punto di portare trenta-quaranta mila persone a Pesaro, l’8 luglio, che si ritrovano per manifestare la loro opposizione al decreto.
Certo, sono sempre una minoranza nel Paese. Ma anche le minoranze hanno i loro diritti. Come lo hanno le voci degli studiosi che non si uniscono al coro. Su uno dei siti scientifici più accreditati – Scienza in rete – alcuni interventi criticano la politica vaccinale del governo. Altri ricercatori escono allo scoperto per fare proposte alternative – e sensate – al decreto ministeriale. A luglio un lungo documento viene firmato da un gruppo di studiosi (tra i quali il già citato De Micheli, Tom Jefferson della Cochrane, Alice Fabbri, Luisella Grandori, Alberto Donzelli, e altri, tutti con esperienze e ruoli di rilievo nella Sanita italiana), propongono 5 punti molto concreti:
1) Affrontare con decisione l’urgenza “morbillo”, puntando a una copertura vaccinale del 95%, con introduzione temporanea dell’obbligo vaccinale in tutte le realtà locali che presentino dati di copertura inferiori. La strategia deve includere un’offerta attiva anche verso soggetti suscettibili di altre classi di età, con possibilità di scelta di vaccino antimorbillo monovalente, da rendere disponibile per chi non intenda assumere altri vaccini in combinazione.
2) Per le altre patologie considerate dal Decreto in discussione, estendere una legge come quella della Regione Veneto, che consenta di attivare a livello regionale o locale per il tempo necessario misure urgenti (che possono contemplare l’obbligo vaccinale) quando le coperture reali localmente verificate con un’anagrafe informatizzata scendano sotto soglie di allarme.
3) Il confronto scientifico (vogliamo sottolineare il termine) andrebbe aperto anche a esperti indipendenti da Società professionali e produttori/industria, e non ricompresi tra chi ha formulato il Piano Nazionale Prevenzione Vaccini/PNPV, prima di procedere con leggi che rendano obbligatorio l’intero PNPV, che contiene molte novità su cui si chiede di aprire il dibattito a una più vasta comunità scientifica.
4) Per assicurare efficacia agli interventi vaccinali e alle azioni di farmacovigilanza, le Regioni e le Province autonome adottano un’anagrafe informatizzata di raccolta dati unica, efficiente e integrata…Va attivato in ogni regione un sistema di raccolta, valutazione e diffusione dei dati sulle reazioni avverse ai vaccini.
5) Gli interventi di cui ai punti precedenti sono offerti nell’ambito della prevenzione primaria in un’ottica di prevenzione attiva, favorendo l’adesione volontaria e consapevole da parte del cittadino, sia ai programmi vaccinali, sia alle altre importanti misure comportamentali e ambientali…
Chi legge ha mai sentito parlare in tv qualcuno dei firmatari del documento? Sui quotidiani – e non sulle riviste specializzate – sono state pubblicate interviste che spiegavano i 5 punti? Rispondo io, e non credo di sbagliare: no. Eppure questi studiosi non sono tra quelli che credono che la Terra sia piatta…
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