Ma l’obbligo vaccinale non può essere un dogma

A distanza di alcuni mesi dal primo “battibecco” tra la ministra Grillo e il vicepremier Salvini, oggi si ripete un nuovo scontro tra i due su un tema sempre delicato: i vaccini. Che allarga il fronte delle divisioni tra M5S e Lega, sempre pronta a cavalcare la protesta e la rabbia per trasformarle in un’arma elettorale. Ma al di là degli aspetti strettamente politici, l’argomento richiede una costante riflessione, ragionata, non schematica e tantomeno ideologica.

In questi anni la discussione, dando per scontata l’importanza delle vaccinazioni (condivisa dalla stragrande maggioranza degli italiani e osteggiata da una minoranza, anche se molto rumorosa, di no-vaxx), ha imposto all’attenzione della pubblica opinione una questione comunque centrale: la obbligatorietà.

Come molti sanno – nonostante dimenticanze, disattenzioni, fake/news – nella metà dei paesi europei, e in particolare quelli ad economia avanzata e con una solida cultura sociale, non esiste l’obbligo. In Italia esisteva in forma diciamo blanda – con il quadrivalente poi diventato nella pratica esavalente – fino al luglio del 2017, quando venne approvata la legge Lorenzin che imponeva una svolta molto decisa alle scelte vaccinali nazionali, facendo passare gli obbligatori da 6 a 10, accompagnati da severe sanzioni, anche se soltanto per i bimbi da 0 a 6 anni, per i quali, in non ottemperanza della legge, era ed è prevista la esclusione dagli asili nido, dalle materne.

Per la storia della nostra assistenza sanitaria, la legge Lorenzin rappresenta un cambiamento radicale. Eppure pieno di contraddizioni. In particolare sulle regole da rispettare, perché diversamente dai bimbi piccoli, i frequentatori della scuola dell’obbligo se non si vaccinano, non vengono esclusi: a loro basta (anzi, basterebbe: sarei curioso di conoscere qualche dato), pagare una multa. Inoltre l’obbligo riguarda solo bambini e minorenni, mentre per altre fasce di età, e per le professioni a rischio, non è prevista sanzione. L’altro aspetto “innovativo” è stato il ribaltamento di una cultura sanitaria che si fondava sul non obbligo vaccinale di tipo sanzionatorio. Devo qui ricordare che larga parte del mondo medico/scientifico – compresi i più impegnati a sostenere la Lorenzin – non è stato sempre d’accordo sull’obbligo. O meglio: lo era a determinate condizioni, e cioè il calo delle coperture a livelli percentuali, tali da non garantire un effetto positivo “a cascata” anche sui non vaccinati.

La svolta “obbligazionista” fu voluta dal governo Gentiloni, in parte a causa di una pressione politica (in una intervista al Corriere della Sera Renzi disse che “i vaccini dovevano essere la banca Etruria dei 5Stelle”: e questo avvenne prima della fine dell’anti vaccinismo grillino), e in parte in base all’aumento dei contagiati da morbillo (che in un anno provocò 4 (quattro) decessi, di cui almeno due non riconducibili ad un evidente causa/effetto. Come ho scritto tante volte, fu messa in atto una campagna mediatica – con le istituzioni sanitarie in prima fila – per far passare l’idea che eravamo in una situazione di allarme. A questo proposito bisogna sempre sottolineare che abbiamo avuto annate con un numero di contagiati di morbillo perfino superiore rispetto a quello registrato nel 2017, pur in presenza di una copertura percentuale più alta. Perché? Qualsiasi epidemiologo è in grado di spiegare che il morbillo è una malattia che ha decorsi molto particolari, per cui la vaccinazione ha un effetto importantissimo e tuttavia relativo.

In ogni caso la legge Lorenzin finora ha resistito. Anche all’avvento del governo giallo-verde, le cui due componenti, M5S e Lega, si erano impegnate in piazza e in Parlamento contro le norme imposte a maggioranza dal precedente governo, urlando ai quattro venti che avrebbero fatto saltare l’obbligo appena possibile. In realtà, nonostante le promesse ai loro elettori, i due “contraenti” non hanno voltato pagina. L’obbligo è rimasto con tutte le sanzioni previste. Che dovrebbero scattare dal 10 marzo, escludendo dagli asili i piccoli non vaccinati.

Come mai non è saltato l’obbligo? A capo della struttura ministeriale sui vaccini, Giulia Grillo, appena insediata, ha nominato Vittorio Demicheli, uno dei maggiori esperti in Italia, fortemente critico nei confronti della legge Lorenzin e delle Società scientifiche che, a suo dire, avevano previsto un piano vaccinale sovrapponibile a quello ipotizzato dalle aziende Big Pharma che producono vaccini. Il suo nome era una garanzia per tutti quelli che negli ultimi anni hanno criticato l’obbligo vaccinale. Allora come mai la ministra Grillo ha confermato il mantenimento della legge Lorenzin, prendendosi una valanga di critiche (e fossero solo queste: sul web le accuse sono indecenti e violente, passibili di denuncia)?

Di fronte alla domanda esistono una risposta “ufficiale” e qualche ipotesi.

La prima l’ha data la stessa ministra, sostenendo la necessità di arrivare ad una nuova legge organica. Ma questo lo sosteneva già a ottobre scorso, e ad ora siamo ad un provvedimento “cofirmato dai due capigruppo di Camera e Senato, che è in discussione in questo momento al Senato e per cui scadono gli emendamenti a breve. L’intento comune è di superare il decreto Lorenzin, che è una legge che noi riteniamo avere alcune importanti lacune”.

Questo lo ha detto, ed ecco la polemica odierna, rispondendo alla richiesta di Salvini, che vuole far entrare negli asili anche i bimbi non vaccinati, bypassando il limite del 10 marzo. Ma se, come dice Grillo, sarà il Parlamento a superare la legge Lorenzin, i tempi si allungano fino ad aprile almeno (e solo per la Camera). Per cui i genitori dovranno vaccinare i loro figli oppure rassegnarsi alla esclusione.

Forse è inutile ripetere che la “pressione” del leader leghista è un altro macigno che cade all’interno della coalizione. Perché mentre la Grillo ha dato una svolta alla politica dei 5Stelle sui vaccini – abbracciando le tesi “pro”, anche grazie all’aiuto del professor Silvestro – Salvini invece vuole cavalcare la rabbia di chi si è sentito tradito, scaricando le responsabilità di una promessa non mantenuta sull’alleato di governo.

Ma, chiedevo, perché non si è cambiata strada? Come scritto prima, un motivo sta nell’assenza di una legge organica. E in effetti nelle norme attuali ci sono troppe storture e contraddizioni. Un esempio. Nel 2017 abbiamo avuto circa 5 mila malati di morbillo, metà dei quali giovani adulti o adulti, anche se l’incidenza era più forte tra i bambini piccoli. Quell’anno sono stati registrati casi di contagio in situazioni extra scolastiche molto varie (ricordo la nazionale di Pallanuoto, i malati negli alberghi di Vietri sul mare e soprattutto negli ospedali perché il 7 per cento dei malati di morbillo si è avuto tra il personale medico/sanitario. Non a caso ora la Commissione vaccini ha previsto un piano contro morbillo, parotite e rosolia per tutti i nati tra il 1975 e il 2000. La profilassi dovrebbe essere obbligatoria per fare i concorsi delle forze dell’ordine o dei vigili del fuoco, per partecipare all’Erasmus oppure per iscriversi a una società sportiva. Questa impostazione darebbe così una risposta a chi sostiene che la legge attuale era limitata, parziale e quindi in parte inefficace.

Però possiamo anche pensare che nonostante l’aumento del numero delle vaccinazioni, verificato in quasi tutte le Regioni, le percentuali non siano tali da garantire una copertura vasta e quindi una maggiore sicurezza (anche nei confronti di quei bambini immunodepressi che non possono essere vaccinati: in questi casi io interverrei struttura per struttura…).

Resta un ma. Ed è appunto l’obbligo, che verrebbe esteso a più figure sociali. Molti studiosi pro-vaxx sostengono che la misura va adottata in caso di epidemie, di emergenza, di ampio calo delle coperture. Gli esperti ministeriali – e Demicheli per primo – dovrebbero perciò chiarire se l’estensione ai giovani-adulti è una norma transitoria o definitiva. Nel secondo caso ci troveremmo di fronte ad un dogma, non ad un’importante necessità sanitaria pubblica. In passato tutti dicevano che non si può imporre l’obbligo come verità assoluta. Oggi non più?

Fonte: repubblica.it

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