Nell’attuale dibattito sulla valenza obbligatoria delle vaccinazioni infantili ritengo che un’attenta riflessione giuridica deponga inequivocabilmente in favore della libera, consapevole e informata scelta dei genitori (ovvero di coloro ai quali, per espresso enunciato costituzionale, è riconosciuta la prerogativa di mantenere, istruire ed educare i figli [art. 30 Cost.]).
Anzitutto una necessaria precisazione.
Quando si parla di libertà di scelta qui non si vuole invocare un naif diritto assoluto a “pensarla come si vuole” di matrice libertaria, né un’irrazionale quanto ideologica contrarietà pregiudiziale ai vaccini in quanto tali: con la salute non si scherza, men che meno con quella dei bambini. No, il tema è talmente delicato che nessuno che denoti un minimo di ragionevolezza nell’approcciarlo lo riterrà legato all’àmbito dell’art. 21 Cost. (Libertà di manifestazione del pensiero), essendo l’unica sua idonea collocazione quella delineata dall’art. 32 Cost. (Diritto alla salute), a cui sono da riconnettersi il già richiamato art. 30 Cost. e l’art. 33 Cost. (Libertà di ricerca e dibattito scientifico).
Proprio perché la questione è seria non si può nemmeno eccedere in senso opposto, banalizzando la potenziale dannosità dell’atto vaccinale.
Rischiosità intrinseca della vaccinazione
È doveroso ricordare e affermare con chiarezza che il vaccino è un intervento intrinsecamente rischioso, ovvero a fronte di prospettati benefici per l’individuo e la collettività presenta anche la non trascurabile possibilità di determinare dei danni seri, possibilità che peraltro a oggi si è accertato essersi concretizzata in un numero purtroppo apprezzabile di casi.
A dirlo non sono io, ma emerge con evidenza negli atti ufficiali e provvedimenti di enti o organi istituzionali di primaria importanza, essendosi nel tempo espressi a vario titolo in questo senso: la Corte Costituzionale; una Legge della Repubblica, un deputato in seduta ufficiale della Camera con concorde riscontro dell’allora Sottosegretario all’Istruzione; diverse Giunte Regionali e, di recente, lo stesso Ministro della Sanità attualmente in carica.
Facciamo una sommaria carrellata (le evidenziazioni in grassetto sono di chi scrive):
Corte Costituzionale n. 307 del 22.06.1990:
«…
Nel corso di un giudizio civile intentato nei confronti del Ministro della sanità in relazione ai danni riportati da una madre per avere contratto la poliomielite, con paralisi spinale persistente, in quanto a lei trasmessa per contagio dal figlio, sottoposto a vaccinazione obbligatoria antipoliomielitica, il giudice a quo, considerato che non sembravano ricorrere estremi di responsabilità ai sensi dell’art. 2043 c.c., ha prospettato il possibile contrasto della denunciata carenza di previsione di rimedi come quelli suindicati per l’evenienza di lesioni derivanti da un trattamento sanitario obbligatorio, da parte della norma che lo introduce, con il principio, espresso nell’art. 32 della Costituzione, della piena tutela dell’integrità fisica dell’individuo.
2.-La questione è fondata.
…».
Legge n. 210 del 25.02.1992,[1] :
«Art. 1, co. 1: Chiunque abbia riportato, a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di una autorità sanitaria italiana, lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica, ha diritto ad un indennizzo da parte dello Stato, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla presente legge.
Art. 1, co. 4: I benefici di cui alla presente legge spettano alle persone non vaccinate che abbiano riportato, a seguito ed in conseguenza di contatto con persona vaccinata, i danni di cui al comma 1…
Art. 2, co. 3: Qualora a causa delle vaccinazioni o delle patologie previste dalla presente legge sia derivata la morte, l’avente diritto può optare fra…»
Corte Cost. n. 118 del 18.04.1996:
«In particolare – questo è il caso che qui rileva – può accadere che il perseguimento dell’interesse alla salute della collettività, attraverso trattamenti sanitari, come le vaccinazioni obbligatorie, pregiudichi il diritto individuale alla salute, quando tali trattamenti comportino, per la salute di quanti ad essi devono sottostare, conseguenze indesiderate, pregiudizievoli oltre il limite del normalmente tollerabile.
…
Il caso da cui trae origine il presente giudizio di costituzionalità ne è un esempio. La vaccinazione antipoliomielitica comporta infatti un rischio di contagio, preventivabile in astratto – perché statisticamente rilevato – ancorché in concreto non siano prevedibili i soggetti che saranno colpiti dall’evento dannoso.
…
Finché ogni rischio di complicanze non sarà completamente eliminato attraverso lo sviluppo della scienza e della tecnologia mediche – e per la vaccinazione antipoliomielitica non è così -, la decisione in ordine alla sua imposizione obbligatoria apparterrà a questo genere di scelte pubbliche»
Interpellanza del Deputato On.le Boato Marco al Ministro della Pubblica Istruzione del 24.09.1997 [2] – CONTINUA:
«…la questione della cosiddetta libertà di vaccinazione è certamente controversa, e sul tema non solo non vi è accordo politico ma neppure convergenza di opinioni in ambito medico e scientifico e, tuttavia, è stata in ogni caso riconosciuta la possibilità di effetti collaterali dannosi alla salute»
SEGUE – Risposta del Sottosegretario di Stato per la Pubblica Istruzione, Rocchi Carla, a Interpellanza Boato, resa in Seduta n. 295 del 13.01.1998 della Camera dei Deputati [3]
«…Va inoltre ricordato che spesso il pediatra non è sempre in grado di conoscere in anticipo le possibili conseguenze di un vaccino su un bambino, anche perché determinati effetti si verificano a posteriori e non vengono riferiti. È della scorsa settimana la notizia, divulgata dai giornali, di una bambina che, a seguito di una vaccinazione, è rimasta paralizzata. Si tratta dell’ennesima «perla» che fa parte di una collana che dovrebbe inquietare tutti noi e certamente inquieta molto chi vi parla.
…
Siamo, tra l’altro, di fronte ad un obbligo di vaccinazione che produce mediamente ogni anno un numero elevato di danni fisici irreversibili ai bambini vaccinati. Questo è un dato molto importante, cioè il fatto che lo Stato è nella condizione di non poter prevedere danni fisici a bambini»
Regione SARDEGNA,_ D.G.R. n. 71/12 del 16.12.2008 [4]:
«Paragrafo 7.2 “Sorveglianza, monitoraggio e informazione scientifica”
…
Ogni possibile evento avverso temporalmente correlato alla vaccinazione deve essere segnalato tempestivamente e dettagliatamente e ne deve essere valutata l’eventuale associazione alla vaccinazione e garantito il follow up».
Regione EMILIA ROMAGNA_D.G.R. n. 256 del 13.03.2009 [5]:
«5.7 L’INDIVIDUAZIONE DELLE CONTROINDICAZIONI[6]
[omissis]
5.10 LA GESTIONE DELLE REAZIONI AVVERSE[7]
Le reazioni avverse a vaccinazioni si possono classificare, sulla base del criterio temporale, in:
– reazione a rapida insorgenza con comparsa dei sintomi entro pochi minuti dalla somministrazioni del vaccino,
– reazioni a insorgenza tardiva che, invece, si verificano con un intervallo di ore o di giorni.
…
Le reazioni a insorgenza tardiva
Quando il servizio vaccinale ne viene informato è tenuto a fornire, in particolare per le reazioni gravi, il dovuto supporto, anche individuando i percorsi e garantendo gli accessi a titolo gratuito presso strutture specialistiche diagnostico-terapeutiche e riabilitative ed effettuando il follow up di tali situazioni.
Indennizzo e risarcimento del danno
In caso di reazioni che abbiano determinato danni permanenti, il Servizio deve informare l’interessato del diritto alla richiesta di indennizzo previsto dalla legge 210/92 e successive modifiche»
Risposta scritta del Ministro della Salute, Lorenzin Beatrice, a Interrogazione Sen. Centinaio, resa in data 21.07.2015 [8]
«RISPOSTA- La legge 25 febbraio 1992, n. 210…riconosce ai soggetti che a seguito di vaccinazioni obbligatorie…hanno riportato danni irreversibili, il diritto a percepire un indennizzo, vitalizio, da parte dello Stato. Tale beneficio è riconosciuto a seguito dell’accertamento del nesso causale tra l’infermità e…la vaccinazione obbligatoria da parte della commissione medica ospedaliera competente per territorio, e l’importo è parametrato alla gravità del danno.
…
L’art. 1, comma 1, della legge 29 ottobre 2005, n. 229, ha previsto la corresponsione di un indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, che già beneficiano dell’indennizzo di cui alla legge 25 febbraio 1992, n. 210. L’indennizzo aggiuntivo consiste in un assegno mensile vitalizio…
Alla data del 31 marzo 2015, i beneficiari dell’indennizzo aggiuntivo, in quanto riconosciuti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, sono 609, mentre vi sono 22 soggetti che ne hanno beneficiato, ma la cui posizione è stata chiusa a seguito di decesso».
Qualsiasi discussione seria deve pertanto partire da questo incontrovertibile dato di fatto: le somministrazioni vaccinali non sono “acqua fresca”, presentando un intrinseco e concreto rischio di impattare negativamente e in termini anche gravi (la L. 210/92 non esclude addirittura la possibilità di morte) sulla salute del somministrato.
Sulla portata di tale rischio il confronto non può che svolgersi negli àmbiti della ricerca e del dibattito scientifico oltre che dell’attività clinica medica, rispetto ai quali il cittadino sprovvisto di relative competenze (come chi scrive) non può che auspicare un libero svolgimento secondo il dettame del primo comma dell’art. 33 Cost..
Atteso che, di contro, le vaccinazioni continuano comunque a rappresentare essenziali strumenti di prevenzione sui quali la comunità medico-scientifica è praticamente concorde,[9] la vera questione giuridica (e, per certi versi, politica) diventa allora quella di individuare, nel rispetto delle regole democratico-costituzionali, il migliore strumento per ridurre il più possibile il rischio del danno alla salute individuale intrinseco all’atto vaccinale (a fronte del perseguimento attraverso lo stesso atto dei prospettati benefici sanitari tanto personali quanto collettivi) e se, in quest’ottica, la somministrazione dei vaccini sia ancora configurabile in termini di coercibilità (in particolare su minori) da parte dello Stato.
Prima di affrontare il problema converrà un sintetico riepilogo di carattere storico.
Evoluzione del sistema normativo in àmbito vaccinale.
È noto che in Italia sono quattro le vaccinazioni dichiarate obbligatorie per Legge: antidifterica,[10] antitetanica,[11] antipolio,[12] e antiepatite B;[13] come si vede tutte parecchio risalenti nel tempo, eccetto l’anti epatite B, quest’ultima peraltro da molti ritenuta essere stata approvata in modo discutibile.
Facendo un discorso sommario si può dire che originariamente l’assolvimento di tali obblighi, evidentemente diretti ai legali rappresentanti dei minori, ovvero i genitori, era garantito da un adeguato sistema coercitivo, strutturato su tre modalità di risposta, anche concorrenti: sanzione penale; divieto d’accesso del bambino non vaccinato alla scuola dell’obbligo; vaccinazione coattiva a mezzo forze dell’ordine su provvedimento del magistrato sostitutivo della volontà genitoriale ex artt. 333 e 336 c.c..
A partire dall’inizio degli anni ’90, tuttavia, si è assistito a un progressivo processo di liberalizzazione dell’imposizione vaccinale, attuatosi però non attraverso la diretta ed espressa abrogazione degli obblighi (i quali sono rimasti e rimangono formalmente in vigore), quanto per mezzo della sostanziale soppressione, in taluni casi formale in altri pratica, delle indicate misure coercitive.
Già con la Legge 689/1981 le sanzioni penali, ove previste, erano state ridotte a illeciti amministrativi.
Il vero punto di svolta, tuttavia, è rappresentato dalla sentenza n. 307/1990 della Corte Costituzionale, la quale ha imposto al legislatore l’adozione della fondamentale L. 210/1992, la quale ha posto in capo allo Stato l’onere di indennizzare i danneggiati da vaccino.
Negli anni a seguire, sulla spinta di importanti attività di pressione popolare per l’abolizione dell’obbligo,[14] pur dopo un processo non sempre lineare e a volte contrastato,[15] si giungeva, infine, all’abolizione dell’esclusione dalle scuole dell’obbligo dei bambini non vaccinati con il DPR n. 355 del 26.01.1999.
Nel mezzo, l’importante pronuncia Corte Cost. n. 258 del 23.06.1994, sulla quale si ritornerà.
Negli anni successivi il processo di de-coercibilità si è completato con l’affermazione, in sede applicativa, di una giurisprudenza dei Tribunali dei minori diretta a escludere l’applicabilità dell’istituto surrogatorio alla volontà genitoriale ex artt. 333 e 336 c.c.[16] e, per quanto riguarda gli enti locali, di una prassi diretta all’archiviazione delle segnalazioni per l’emissione di sanzioni amministrative conseguenti all’inosservanza dell’obbligo vaccinale.
In tutto il corso del primo decennio degli anni 2000, inoltre, diverse Regioni (a cui è passata la competenza attuativa dei Piani Vaccinali) hanno proceduto a una vera e propria istituzionalizzazione del c.d. “dissenso informato”, talune arrivando chiaramente a esprimere la volontà di superare definitivamente l’obbligo vaccinale.
In questo senso in ordine cronologico vanno citati i seguenti provvedimenti:
– Linee guida per la effettuazione delle vaccinazioni nelle MARCHE_Allegato al Decreto del Dirigente del Servizio Sanità Pubblica n. 27 del 30.06.2003;
– D.G.R. n. 793 del 08.08.2005_Piano delle vaccinazioni della Regione ABRUZZO;
– D.G.R. n. VIII/1587 del 22.12.2005_Determinazioni in ordine alle vaccinazioni dell’età infantile e dell’adulto in Regione LOMBARDIA;
– D.G.R. n. 63-2598 del 10.04.2006 _Approvazione Piano Piemontese di Promozione delle Vaccinazioni (PPPV) in attuazione dell’Accordo tra il Ministro della Salute e i Presidenti delle Regioni e Province Autonome concernente il Nuovo Piano Nazionale Vaccini 2005-2007, della Regione PIEMONTE;
– D.G.R. n. 369 del 22.05.2006_Approvazione delle “Linee di indirizzo per la gestione dei casi di inadempienza all’obbligo vaccinale” di cui all’Allegato “A” della Regione TOSCANA;
– L.R. n. 7 del 23.03.2007_Sospensione dell’obbligo vaccinale per l’età evolutiva della Regione VENETO;
– D.G.R. n. 962 del. 11.06.2007_Approvazione linee guida vincolanti per Aziende USL finalizzate al miglioramento della pratica vaccinale e ad una maggiore efficienza dei servizi della Regione UMBRIA (riprese con la recente D.G.R. n. 25 del 18.01.2016_Approvazione “Linee di indirizzo per le Aziende Sanitarie per la promozione della qualità delle attività vaccinali” della Regione UMBRIA);
– D.G.R. n. 71/12 del 16.12.2008 della Regione SARDEGNA di adozione della D.G.R. n. 29/2 del 05.07.2005_Indirizzi alle Aziende Sanitarie Locali per il miglioramento delle pratiche vaccinali_Piano Regionale della Prevenzione
– D.G.R. n. 256 del 13.03.2009_Approvazione del documento contenente “Indicazioni alle Aziende sanitarie per promuovere la qualità delle vaccinazioni in EMILIA-ROMAGNA” (poi modificata dalla D.G.R. 1600/2013, nel senso di un ulteriore avanzamento nel processo di superamento del obbligatorietà).
All’interno di questi una menzione particolare si deve anzitutto all’iniziativa della Regione Veneto, unica ad aver disposto, per Legge, la sospensione degli obblighi vaccinali.
Ma altrettanto significativi e importanti sono alcuni passaggi in tema di “consenso informato” che meritano di essere citati letteralmente (grassetto dello scrivente).
D.G.R. n. 63-2598 del 10.04.2006 Regione PIEMONTE:
«È utile ricordare a questo proposito la recente evoluzione della legislazione in tema di consenso ai trattamenti sanitari, rappresentata dalla Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina approvata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 19 novembre 1996 e sottoscritta a Oviedo il 4 aprile 1997 e ratificata dallo Stato italiano con la Legge 28 marzo 2001, n. 145.
Tale principio appare cruciale in ambito vaccinale, poiché la vaccinazione è un trattamento preventivo proposto a persone sane e in tale ambito non si configura lo stato di necessità, unica situazione in cui non è richiesto il consenso del paziente o del rappresentante legale» (pg. 81)
D.G.R. n. 962 del. 11.06.2007 Regione UMBRIA:
«L’introduzione della raccolta del consenso informato nella pratica vaccinale non va intesa come mero adempimento ad un obbligo di legge, ma piuttosto come riconoscimento della facoltà dei cittadini di effettuare le scelte che riguardano la propria salute con libertà e consapevolezza. Si tratta dunque prima di tutto di un passaggio culturale con il quale si prende atto dell’avvenuto tramonto, nella coscienza collettiva, del modello della medicina paternalistica e delle vaccinazioni dell’obbligo, in cui la valutazione della necessità e dell’appropriatezza dell’atto medico era delegata in toto agli esperti e, nel caso delle vaccinazioni di massa, ratificata con atti dell’autorità» (Allegato 3)
D.G.R. n. 71/12 del 16.12.2008 Regione SARDEGNA:
«7.3 Obbligo vaccinale e consenso informato
In medicina, il consenso informato è l’accettazione volontaria, consapevole, specifica ed esplicita da parte di un cittadino ad un qualsiasi trattamento sanitario.
Per i minori o per le persone incapaci di intendere e di volere, titolare del diritto di dare il consenso è l’esercente la potestà genitoriale (genitore o tutore legalmente designato) ovvero il rappresentante legale (tutore o curatore) della persona incapace.
…
Il consenso ad un trattamento sanitario deve sempre essere richiesto e ottenuto e il cittadino ha diritto di revocarlo in qualsiasi momento.
Un concetto fondamentale, suffragato anche ormai da sentenze della magistratura, è che le vaccinazioni, pur restando nel nostro Paese obbligatorie, sono comunque trattamenti sanitari non coattivi, cioè non coercibili fisicamente: al giorno d’oggi, in base alle normative vigenti, sarebbe del tutto improponibile richiedere al giudice l’esecuzione forzata delle vaccinazioni su di un minore, con l’intervento della forza pubblica.
Nel caso dei minori, perché i genitori possano esprimere o negare il proprio consenso, è necessario che essi siano opportunamente informati in modo chiaro e comprensibile.
L’obbligo di informare deriva anche dalla disposizione dell’art. 7 della Legge 25 febbraio 1992, n. 210 e successive integrazioni e modificazioni, “Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati”. Tale necessità deriva anche dal fatto che:
1) si tratta di un intervento proposto a persone sane – non ammalate e
2) non esistono condizioni di emergenza.
…
L’informazione deve riguardare: 1) le caratteristiche dei vaccini impiegati; 2) le caratteristiche epidemiologiche e le possibili/probabili complicanze e sequele della malattia che si vuole prevenire; 3) i benefici attesi dalla vaccinazione; 4) i rischi connessi con la vaccinazione, sia di carattere generale che specifici per la persona in esame; 5) le controindicazioni alla vaccinazione; 6) i rischi connessi con la mancata vaccinazione.
…
E’ utile ricordare a questo proposito la recente evoluzione della legislazione in tema di consenso ai trattamenti sanitari, rappresentata dalla Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina approvata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 19 novembre 1996 e sottoscritta a Oviedo il 4 aprile 1997 e ratificata dallo Stato italiano con la Legge 28 marzo 2001, n. 145. Tale principio appare cruciale in ambito vaccinale, poiché la vaccinazione è un trattamento preventivo proposto a persone sane e in tale ambito non si configura lo stato di necessità, unica situazione in cui non è richiesto il consenso del paziente o del rappresentante legale» (pgg. 34 – 36)
Per quanto riguarda le Regioni che non hanno legiferato sul “dissenso informato” vale la considerazione che (fatte salve le recentissime iniziative “regressive” di cui tra poco si farà cenno) nello stesso periodo sul loro territorio risulta documentata una prassi radicata di pacifica tolleranza dell’inadempimento all’obbligo vaccinale.
In definitiva si può affermare che, sebbene l’obbligatorietà delle quattro vaccinazioni in questione sia formalmente in vigore, in questi vent’anni l’ordinamento nel suo complesso si sia evoluto, attraverso una serie di atti giuridici tra loro diversi ma comunque sistematicamente ricollegabili, giungendo a una situazione di, per così dire, “diritto vivente” di completa abrogazione della coercibilità dell’obbligo. Con il che la norma giuridica priva di sanzione (c.d. norma imperfetta) cessa di essere vincolante e, in buona sostanza, non pone più alcun obbligo.
Il problema che, in qualche modo, si vuole affrontare con la presente riflessione è quello della reintroduzione normativa di una qualche forma di coercibilità, diretta o indiretta che sia.
Non si può tacere che negli ultimissimi anni (grossomodo dal 2014 in poi), si è assistito a un radicale “cambio del vento” in tema di cultura giuridica sulla vaccinazione, per lo meno in consistenti àmbiti apicali istituzionali. Assistiamo a una vera svolta autoritaria laddove, profittando del fatto che l’obbligatorietà delle quattro vaccinazioni non è mai stata espressamente abrogata, da diverse parti si invoca l’adozione di strumenti di coercibilità delle medesime e, in alcuni casi, essi sarebbero stati adottati o sarebbero in corso di adozione stabilendo il divieto d’accesso dei bambini non vaccinati ad asili e scuole dell’infanzia (così Regione Toscana, Regione Emilia-Romagna, Regione Umbria, Regione Calabria e Comune di Trieste).
Ciò, per inciso, nella piena vigenza del dettato del D.P.R. 355/1999[17] che, norma di rango statale, porrebbe un principio generale a cui le Regioni dovrebbero conformarsi (come peraltro la stessa Regione Emilia-Romagna aveva espressamente riconosciuto nella non preistorica D.G.R. 256/09[18] ), pena il profilarsi di un grave vizio di illegittimità della norma regionale.
È anche vero che, nel contempo, in Senato è stato depositato il d.d.l. Puglisi, n. 2679 del 02.02.2017, intitolato “Disposizioni per la reintroduzione dell’obbligatorietà delle vaccinazioni per l’ammissione alle scuole di ogni ordine e grado”.[19]
A titolo puramente speculativo ci si potrebbe chiedere come mai questo ritorno al passato, perché la riaffermazione (da parte, beninteso, solo di alcuni) di uno strumento giuridico vetusto quale l’imposizione coercitiva. Le condizioni sanitarie sono davvero così cambiate nel giro di qualche mese (si veda, per esempio, quanto veniva affermato e disposto dalla stessa Regione Emilia-Romagna, che oggi vuole reintrodurre l’obbligo, nemmeno quattro anni fa, vale a dire nella propria D.G.R. 1600/2013[20] ) da legittimare lo Stato a costringere i genitori che non lo ritenessero a far vaccinare i propri figli?
È evidente che il fondamentale principio di “ragionevolezza” dell’attività legislativa, più volte sancito dalla Corte Costituzionale, impone al legislatore, tanto statale quanto regionale, di avere delle chiare, evidenti, solide e condivise ragioni per smentire con atti normativi successivi quanto da se stesso affermato sia in termini di principi generali che di norme specifiche pochissimo tempo prima.
E tali ragioni, francamente, al di là di qualche slogan un po’ urlato e amplificato all’infinito dai mass-media, non si vedono.
L’unica cosa evidente, invece, ma questa è personalissima opinione di chi scrive, è la fondatezza di quanto chiaramente espresso dalla Regione Sardegna in D.G.R. n. 71/12 del 16.12.2008 (grassetto di chi scrive):
«Negli ultimi anni la pressione commerciale per promuovere l’uso di nuovi vaccini è enormemente cresciuta.
Al fine di favorire una corretta informazione sull’uso e sull’efficacia dei vaccini, la Regione e le Aziende sanitarie promuovono e favoriscono l’informazione scientifica indipendente sugli effetti dei vaccini e regolamentano la partecipazione degli operatori e delle aziende sanitarie alle iniziative promozionali finanziate o influenzate dai produttori di vaccini» (pg. 34)
Resta da vedere, comunque, se iniziative quali il citato ddl Puglisi andranno in porto, anche perché la questione vaccinale, al di là di quanto viene mediaticamente narrato, rimane ampiamente controversa e ciò non solo in àmbito medico-scientifico (nazionale e internazionale) ma anche istituzionale.
Merita un accenno la vicenda dell’Intesa della Conferenza Stato – Regioni in materia d’attuazione del nuovo Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale 2017-2019 del 25.01.2017.
Forse si ricorderà che in quei giorni la grancassa mediatica aveva rimbalzato la notizia di un fantomatico accordo tra rappresentanti delle Regioni e Ministro della Salute per far approvare un intervento legislativo nazionale volto a rendere obbligatorie le vaccinazioni per consentire l’accesso alla scuola dell’infanzia e dell’obbligo.[21]
È emerso subito che si trattava di una bufala, dato che nelle ore immediatamente successive non solo arrivava la smentita dello stesso Ministro Lorenzin, la quale derubricava “l’accordo” a semplice “richiesta delle Regioni”, ma addirittura una presa di posizione ufficiale di Regione Lombardia contro la coercibilità vaccinale.
Quello che invece pochi sanno, è la portata di questa bufala, dato che in quella Conferenza Stato-Regioni i rappresentanti regionali non solo non hanno proposto al Ministro la reintroduzione dell’obbligatorietà ma hanno chiesto esattamente il contrario, vale a dire il definitivo superamento del regime obbligatorio per alcune vaccinazioni in favore di quello della raccomandazione, universalizzato per tutte.
Lo si apprende dal sito dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica il quale, seppure dà atto anch’esso in modo non corretto della notizia, perlomeno riporta il testo dell’Intesa, dove leggiamo quanto segue.[22]
Sotto al titolo PIANO NAZIONALE PREVENZIONE VACCINALE 2017-2019, al punto 5 è scritto (grassetto di chi scrive):
«5. Poiché le vaccinazioni contenute nel Pnpv 20I7- I9 sono parte costituente dei nuovi Lea, si richiede un allineamento normativo che superi l’antistorica distinzione su vaccinazioni obbligatorie e raccomandate, al fine di porre tutte le vaccinazioni inserite nel calendario vaccinale sullo stesso piano»
In che termini debba avvenire questa omogeneizzazione del regime giuridico delle vaccinazioni, secondo quanto effettivamente richiesto dalle Regioni al Ministro, lo leggiamo in chiusura del allegato “PNPV 2017-2019 CONTENUTI CONCORDATI TRA LE REGIONI E IL MINISTERO DELLA SALUTE” (grassetto e sottolineatura di chi scrive):
«…
Oltre alle risorse economiche aggiuntive, per far fronte all’introduzione del nuovo calendario vaccinale, si chiede al ministero della Salute di assicurare:
…
– allineamento degli strumenti normativi in tema di offerta vaccinale per superare l’antistorica distinzione tra vaccinazioni obbligatorie e vaccinazioni facoltative: si propone di adottare un unico istituto normativo che, abrogando le norme precedenti, classifichi e definisca in modo univoco tutte le vaccinazioni che il Piano nazionale di Prevenzione vaccinale prevede siano offerte in modo attivo e gratuito sul territorio nazionale come raccomandate;
…»
Al di là, comunque, della confusione del momento e tornando a una riflessione propriamente giuridica il punto focale è questo: è possibile per il legislatore ordinario (statale e/o regionale), dopo che egli stesso ha nella sostanza portato avanti per più di vent’anni un processo di sostanziale liberalizzazione dell’obbligo vaccinale, di punto in bianco fare un radicale salto mortale all’indietro (giuridicamente parlando) e reintrodurre la cogenza dell’obbligatorietà?
A parere di chi scrive ciò non è possibile, essendosi nel frattempo affermati dei capisaldi giuridici che costituiscono dei veri e propri punti di non ritorno.
Il portato dell’art. 32 Cost.
Il primo è rappresentato dalla notissima sentenza Corte Cost. 307/90.
Tale decisione, a parere di chi scrive, troppo spesso viene invocata a sproposito dagli odierni sostenitori dell’obbligatorietà vaccinale.
Come ben sa chi ha un po’ di dimestichezza con la storia degli istituti di diritto costituzionale questi in genere, a meno di radicali interventi (di rango costituzionale) del legislatore, si approfondiscono nel loro contenuto secondo un processo di approssimazione, imperniato sulle evoluzioni giurisprudenziali della Corte e di quello che è definito “diritto vivente”.
Ebbene il reale portato di Corte Cost. 307/90 è quello di una decisione in favore della salute individuale in quanto in quell’occasione la Corte ha sì riconosciuto la legittimità costituzionale dell’obbligo vaccinale, sancendo, tuttavia, il contro-dovere in capo allo Stato di prevedere un equo indennizzo in favore di coloro che, sottoposti a vaccinazione obbligatoria, ne fossero risultati pregiudicati nella propria salute.
Si tratta, in definitiva, della storica sentenza che ha imposto al legislatore di adottare la L. 210/92 dato che, prima di allora, l’ordinamento non prevedeva forme di ristoro al di fuori di ipotesi di lesioni conseguenti a comportamento colposo dei sanitari (art. 2043 c.c.).
Nell’occasione è stato sancito, in altre parole, il principio che si potrebbe definire della “monetizzazione a carico dello Stato del danno alla salute individuale”: l’art. 32 Cost. legittima il sacrificio della salute individuale in favore della collettività, ove questo fosse necessario, ponendo però sulla collettività stessa il dovere solidaristico di farsi carico economicamente del conseguente pregiudizio sacrificale. Il punto focale, tuttavia, è che la Corte in quella sede non ha approfondito il tema di quando ricorrano le condizioni di necessità che legittimano tale sacrificio.
Sulla questione la Consulta è dovuta in qualche modo tornare con la successiva decisione Corte Cost. n. 258 del 23.06.1994. Il provvedimento è talmente importante che merita particolare attenzione.
Nell’occasione il procedimento traeva origine dalla decisione dell’allora Pretore di Bassano del Grappa (giudice a quo) di investire la Corte della questione di legittimità costituzionale delle quattro leggi che dispongono l’obbligatorietà delle vaccinazioni antipolio, antidifterica, antitetanica e antiepatite B.
Circa i motivi di rimessione leggiamo in sentenza (grassetto dello scrivente):
«Nel denunciare la legge 27 maggio 1991, n. 165 (sulla “obbligatorietà della vaccinazione contro l’epatite virale B”), lamenta in sostanza il Pretore “a quo” la omessa previsione, in quel contesto, di accertamenti preventivi – “idonei quanto meno a ridurre il rischio, pur percentualmente modesto, di lesioni della integrità psico-fisica per complicanze da vaccino” – “volti alla verifica della sussistenza di eventuali controindicazioni alla vaccinazione, nonché della specificazione dei tipi di accertamenti che debbono a tal fine compiersi”, ritenendo la visita obiettiva e la raccolta dell’anamnesi non sufficienti per escludere la presenza delle molteplici patologie, anche asintomatiche, che costituiscono controindicazioni alle vaccinazioni.
Ed in tale prospettiva egli ipotizza il contrasto della suddetta normativa con il precetto costituzionale dell’art. 32 Cost., sotto il triplice profilo di violazione:
a) della riserva (sia pur relativa) di legge, ivi sancita (e che imporrebbe la previsione di quegli accertamenti nella disciplina di principio regolante gli aspetti essenziali della materia;
b) del diritto alla salute del soggetto passivo, per il pregiudizio che potrebbe derivargli dal trattamento sanitario obbligatorio come ora praticato;
c) del principio del rispetto della persona umana, che imporrebbe la ricerca, per quanto possibile, del consenso e della partecipazione degli obbligati e dei genitori, cui dovrebbe essere appunto anche finalizzata l’esecuzione degli accertamenti diagnostici preventivi»
Conviene subito evidenziare che la Corte ha deciso dichiarando l’inammissibilità delle questioni sollevate dal Pretore, non tuttavia perché le abbia ritenute infondate o non condivisibili ma per la propria incompetenza rispetto al necessitato intervento del legislatore (c.d. sentenza di inammissibilità per discrezionalità del legislatore).
E, invero, così motiva la Consulta (grassetto dello scrivente):
«6. In questo quadro di riferimento, le ordinanze di rimessione privilegiano evidentemente il profilo individuale di tutela della salute con considerazioni volte a sottolineare la necessità che il soggetto vaccinando sia messo quanto più possibile al riparo dai rischi di complicanze da vaccino. Tali considerazioni meritano attenta riflessione ma non possono essere correttamente apprezzate se non in necessario bilanciamento con la considerazione anche del parallelo profilo che concerne la salvaguardia del valore (compresente come detto nel precetto costituzionale evocato) della salute collettiva, alla cui tutela – oltre che, (non va dimenticato) a tutela della salute dell’individuo stesso – sono finalizzate le prescrizioni di legge relative alle vaccinazioni obbligatorie.
In questa prospettiva e per quanto innanzi premesso, emerge come le esigenze cautelative sottolineate dal Pretore già trovino un primo livello di risposta nella doverosità dell’osservanza, in sede di attuazione ed esecuzione del trattamento obbligatorio, di quelle “cautele o … modalità che lo stato delle conoscenze scientifiche e l’arte prescrivono in relazione alla sua natura”, e la cui violazione fonda appunto la tutela aquiliana ex art. 2043 c.c. Tuttavia il Pretore, evidentemente, ritiene necessaria una più puntuale ed espressa prescrizione di siffatte cautele mediante la previsione e specificazione a livello normativo dei singoli accertamenti preventivi idonei a ridurre, se non ad eliminare radicalmente, il rischio, che peraltro egli stesso riconosce percentualmente modesto, di lesioni alla integrità psico-fisica per complicanze da vaccino. Ma al riguardo non può non rilevarsi che pur quando la lamentata omessa prescrizione espressa e specifica della doverosità di accertamenti siffatti fosse – in tesi – da ritenersi non in piena consonanza con la garanzia costituzionale del diritto alla salute assicurata al singolo, il porre rimedio a tale inconveniente esulerebbe dai poteri di questa Corte.
6-bis. Invero, proprio per la necessità – già sottolineata di realizzare un corretto bilanciamento tra la tutela della salute del singolo e la concorrente tutela della salute collettiva, entrambe costituzionalmente garantite, si renderebbe necessario porre in essere una complessa e articolata normativa di carattere tecnico – a livello primario attesa la riserva relativa di legge, ed eventualmente a livello secondario integrativo – che, alla luce delle conoscenze scientifiche acquisite, individuasse con la maggiore precisione possibile le complicanze potenzialmente derivabili dalla vaccinazione, e determinasse se e quali strumenti diagnostici idonei a prevederne la concreta verificabilità fossero praticabili su un piano di effettiva fattibilità. Ed al tempo stesso – per evitare che la prescrizione indiscriminata e generalizzata di tutti gli accertamenti preventivi possibili, per tutte le complicanze ipotizzabili e nei confronti di tutte le persone da assoggettare a tutte le vaccinazioni oggi obbligatorie rendesse di fatto praticamente impossibile o estremamente complicata e difficoltosa la concreta realizzabilità dei corrispondenti trattamenti sanitari – si dovrebbero fissare standards di fattibilità che nella discrezionale valutazione del legislatore potrebbero dover tenere anche conto del rapporto tra costi e benefici, eventualmente stabilendo criteri selettivi in ordine alla utilità – apprezzata anche in termini statistici – di eseguire gli accertamenti in questione.
Il giudice “a quo” richiede in definitiva un adeguamento a Costituzione che si prospetta comunque non a rime obbligate e quindi implicherebbe ineludibilmente l’intervento del legislatore, al quale questa Corte non potrebbe sostituirsi.
7. Da qui la pronunzia di inammissibilità che la Corte va a rendere, non senza richiamare, peraltro, l’attenzione del legislatore stesso sul problema affinché, ferma la obbligatorietà generalizzata delle vaccinazioni ritenute necessarie alla luce delle conoscenze mediche, siano individuati e siano prescritti in termini normativi, specifici e puntuali, ma sempre entro limiti di compatibilità con le sottolineate esigenze di generalizzata vaccinazione, gli accertamenti preventivi idonei a prevedere ed a prevenire i possibili rischi di complicanze»
Il ragionamento della Consulta è, pertanto, così sintetizzabile:
la salute individuale del paziente (bene costituzionalmente garantito) è assoggettato a rischio intrinseco di pregiudizio a causa dell’atto vaccinale, la cui obbligatorietà è giustificabile a fronte dei benefici sperati per la salute collettiva (bene costituzionale contrapposto), in un giudizio di bilanciamento rimesso al legislatore. Ciò non toglie, tuttavia, che il rischio che lo Stato impone al singolo di assumersi debba venire il più possibile ridotto, attraverso la previsione per legge, in termini normativi specifici e puntuali, degli accertamenti preventivi idonei a prevedere ed a prevenire i possibili rischi di complicanze. Per tali motivi la Corte, si badi bene, richiama espressamente il legislatore ad attivarsi in tal senso, non essendo competenza propria.
Si noterà che si tratta di un importante passo avanti rispetto a quanto sancito in Corte Cost. 307/1990.
E, del resto, non si possono aver dubbi sul fatto che in un ordinamento personalistico ( = la persona al centro) quale è il nostro, la c.d. monetizzazione del danno alla salute individuale sia condizione meramente necessaria, ma non sufficiente, per legittimare, ex art. 32, 2° comma, Cost. un trattamento sanitario obbligatorio. Quest’ultimo può essere imposto solo laddove la collettività, nel cui interesse il trattamento è imposto, garantisca con legge e per mezzo degli organi pubblici, l’apprestamento di idonee garanzie di minimizzazione del rischio intrinseco al trattamento.
Diversamente ragionando si arriverebbe alla conclusione, ripugnante per una società che si voglia ritenere civile, che agli occhi dell’interesse pubblico un individuo sano è perfettamente equiparabile a uno malato (a causa di t.s.o.) ma monetariamente indennizzato.
La Corte, riprendendo tale filo argomentativo, nella successiva Corte Cost. n. 118 del 18.04.1996, pur parlando di “scelte tragiche del diritto”, ha richiamato il proprio precedente del 1994, così sintetizzandolo:
«Tali trattamenti sono leciti [i t.s.o. quali le vaccinazioni obbligatorie, n.d.r.], per testuale previsione dell’art. 32, secondo comma, della Costituzione, il quale li assoggetta ad una riserva di legge, qualificata dal necessario rispetto della persona umana e ulteriormente specificata da questa Corte, nella sent. n. 258 del 1994, con l’esigenza che si prevedano ad opera del legislatore tutte le cautele preventive possibili, atte a evitare il rischio di complicanze»
In buona sostanza nel ’96 la Consulta ha reiterato (seppure in obiter dictum) il richiamo al legislatore di attivarsi normativamente per la riduzione preventiva del rischio intrinseco alle vaccinazioni obbligatorie. A questo punto ci si potrebbe chiedere che séguito abbia avuto tale richiamo, da ritenersi tutt’ora vincolante.
Se collochiamo storicamente questi principi espressi dalla Corte risulta evidente, in base a quanto detto sopra, come essi siano stati enunciati in un periodo in cui il tema della liberalizzazione dell’obbligo vaccinale, sebbene avviato, era tuttavia ancora in nuce. Come abbiamo visto è del ’99 il DPR che ha espressamente tolto di mezzo il divieto di accesso degli alunni non vaccinati alla scuola dell’obbligo (e che l’improvvido ddl Puglisi vorrebbe reintrodurre).
È chiaro, tuttavia, che da allora l’ordinamento nel suo complesso si sia mosso per altra via, imboccando magari in modo inespresso, ma sempre più sicuro, la via del completo superamento della coercibilità vaccinale, arrivando, nel primo decennio del 2000, a un’abrogazione de iure anche se non ope legis dell’obbligatorietà.
La cosa non è di poco conto, sapendo che la Corte Costituzionale quando si esprime su questioni applicative di legge è sempre molto attenta a partire dal dato fornito dal “diritto vivente” del contesto storico in cui è chiamata a decidere. Per quanto riguarda, invece, questioni relative a riforme legislative (quali potrebbero essere quelle nascenti da eventuali norme di reintroduzione dell’obbligo vaccinale per la frequentazione scolastica), esse potrebbero, come già accennato sopra, venire valutate dalla Consulta sia nei termini del “giudizio di ragionevolezza”[23] che di “giudizio di uguaglianza” puro, permanendo l’irragionevole disparità di trattamento tra vaccinazioni obbligatorie e raccomandate, essendo la differenziazione completamente priva di alcun fondamento medico-scientifico (sulla premessa che l’ordinamento si starebbe, per così dire, “spontaneamente” orientando verso l’affermazione universale del solo regime “raccomandatario”).
A ciò aggiungasi che una reviviscenza effettiva dell’obbligatorietà vaccinale farebbe rientrare pienamente in gioco proprio le raccomandazione che la Consulta ha rivolto al legislatore nel ’94 e ’96 di apprestare, con legge (cosa che non è mai stata fatta), un adeguato (e costoso) sistema di prevenzione del rischio da evento avverso vaccinale nelle ipotesi di vaccinazioni obbligatorie e coercibili.
In altri termini, se la Corte venisse chiamata ad esprimersi oggi, dovrebbe vagliare la ragionevolezza dell’improvvisa e (a parere di chi scrive) ben poco motivata “inversione a U” delle politiche vaccinali che si sta andando profilando in questo Paese, richiamando peraltro il legislatore all’osservanza dei propri moniti del ’94 e ’96.
Infine, ma niente affatto meno importante, un altro storico punto di non ritorno (questa volta legislativo) è rappresentato dalla L. 145/2001 di recepimento della c.d. Convenzione di Oviedo del ’96 (“Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina”), più volte vista in quanto richiamata dalle stesse normative regionali in tema di “dissenso/consenso informato”, e le cui norme e principi sono divenuti a questo punto parte integrante e costituzionalmente vincolante del nostro ordinamento ex artt. 2, 10 (co. 1), 117 (co. 1), Cost.
Ebbene, come ha fatto notare un autorevole magistrato:[24]
“A proposito di principi contenuti nel nostro ordinamento, c’è da aggiungere che l’eventuale introduzione della vaccinazione coatta per legge nel nostro ordinamento sarebbe preclusa dalla Convenzione di Oviedo, recepita in Italia con legge n.145/2001 che, com’è noto, ha stabilito il fondamentale principio dell’autodeterminazione in materia di salute. Il motivo del contrasto con la Convenzione è che, essendo la vaccinazione un trattamento preventivo proposto a persone sane, in questo ambito non si può configurare lo stato di necessità, cioè l’unica situazione per la quale non è richiesto il consenso del paziente o del suo rappresentante legale”.
Conclusione
A questo punto appare chiaro che la via dell’obbligatorietà vaccinale rimane definitivamente preclusa.
L’atto vaccinale, in quanto pratica preventiva (e, pertanto, in assenza di stato di necessità quale un’epidemia acclarata) implica necessariamente l’assunzione di un rischio intrinseco concreto di danno grave alla salute dell’individuo a fronte di un rischio meramente astratto per la collettività (salvo, lo si ripete, nei casi di accertato e localizzato fenomeno epidemico).
In un tale contesto uno Stato civile, come già detto, non può imporre alla persona un simile rischio limitandosi a garantirgli un indennizzo nel caso di evento funesto.
L’obbligo sarebbe giustificabile (e nessuno avrebbe ragionevolmente nulla da opporre) solo a fronte, appunto, dello stato di necessità insito in un’accertata epidemia foriera di un grave e incombente pericolo per la collettività, ovvero qualora il rischio intrinseco concreto per l’individuo fosse effettivamente bilanciato da un rischio altrettanto intrinseco e concreto per la collettività.
Laddove non si versasse in simili, particolarissime situazioni, lo Stato dovrebbe farsi carico di garantire legislativamente il miglior sistema scientificamente possibile di minimizzazione preventiva del rischio individuale.
Siccome un simile sistema sarebbe certamente costoso da implementare e da mantenere aggiornato, oltre a essere certamente di impronta paternalistica e statalista, nel corso degli anni ’90 e 2000 l’ordinamento, a vari livelli, ha fatto una scelta, magari non tanto consapevole o esplicita ma comunque chiara: rimettere al centro la libertà decisionale dei genitori.
Una libertà da esercitare in modo certamente responsabile, informato e consapevole, come vuole l’art. 30 Cost., supportata e accompagnata all’interno di un rapporto di alleanza terapeutica nel quale venga consentito al medico di esprimersi in modo parimenti libero (art. 33 Cost.), il tutto finalizzato all’effettiva attuazione di una Medicina Personalizzata.
Non è forse ancora abbastanza chiaro, in questo nostro Paese tuttora troppo bisognoso di depurarsi da vecchie incrostazioni autoritariste e stataliste, che i genitori e la famiglia, anche in tema di salute propria e dei propri figli, debbono essere il punto di riferimento su cui investire.
E se ci pensiamo, anche e proprio in ottica preventiva della pratica vaccinale, non può essere diversamente: chi meglio del genitore rappresenta il miglior agente sentinella di minimizzazione del rischio, lui/lei che è il primo interessato alla salute del bambino, che lo conosce da sempre, che è disposto a impiegare tutti i mezzi (e se non li ha il pubblico deve intervenire sussidiariamente in aiuto) per la cura del figlio, per fare esami/diagnosi e terapie mirate e concordate con il medico in cui lui/lei ha fiducia?
Per questo è sbagliato scindere il discorso sulla libertà di scelta da quello della salute, creando due contrapposizioni in realtà artificiose e inesistenti.
La libertà di scelta è la miglior garanzia di salute, perché il genitore è il primo, vero, Presidio Primario di Prevenzione: a lui e solo a lui spetta la valutazione e decisione se assumere il rischio intrinseco vaccinale per il proprio bambino, naturalmente aiutato nel fare la scelta più informata, consapevole e ponderata possibile da mondo medico e amministrazione sanitaria.
Libertà di scelta, insomma, per vaccinazioni più sicure.
Riccardo Baro, Avvocato del Foro di Padova
Note:
[1] Rubricata: “Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni di emoderivati”.
[2] fonte: http://leg13.camera.it/_dati/leg13/lavori/stenografici/sed295/aint07.htm.
[3] fonte: http://leg13.camera.it/_dati/leg13/lavori/stenografici/sed295/s080.htm.
[4] Consiste nella delibera di adozione della D.G.R. n. 29/2 del 05.07.2005 “Indirizzi alle Aziende Sanitarie Locali per il miglioramento delle pratiche vaccinali_Piano Regionale della Prevenzione”.
[5] Rubricata: Approvazione del documento contenente “Indicazioni alle Aziende sanitarie per promuovere la qualità delle vaccinazioni in Emilia-Romagna”.
[6] pg. 15.
[7] pgg. 18 e 19.
[8] fonte: http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/315407.pdf [pgg. da 3558 a 3561].
[9] A ben vedere, infatti, le note contrapposizioni, per quanto in taluni casi vengano eccessivamente e forse strumentalmente polarizzate, si giocano più sul tema della massificazione dei vaccini che su bontà e utilità delle vaccinazioni in quanto tali.
[10] L. 891-1939.
[11] L. 292-1963.
[12] L. 51-1966.
[13] L. 165-1991.
[14] L’On.le Boato nella Seduta n. 295 del 13.01.1998 della Camera dei Deputati (fonte indicata in nota 3), in replica al Sottosegretario Rocchi parlava di «…un movimento, non nel senso politico della parola, vale a dire il coordinamento del movimento italiano per la libertà di vaccinazione, che riunisce migliaia e migliaia di genitori e anche molti medici e operatori sanitari che cercano di sensibilizzare su tale questione».
[15] Si ricordano, en passant, i Decreti Legge “Garavaglia” n. 8 del 07.01.1994; n. 164 del 08.03.1994 e n. 273 del 06.05.1994, infine decaduti in quanto non convertiti in Legge.
[16] Significativa ed esemplificativa, al riguardo, la decisione del Tribunale per i minorenni delle Marche del 20.06.2000, nella quale si legge (grassetto dello scrivente): «…Vista la costante giurisprudenza della Sezione Minorenni della Corte di Appello di Ancona, nel senso che in mancanza della coercibilità per legge delle predette vaccinazioni non è consentito al Giudice intervenire nella materia e perciò solo, limitare la libertà individuale degli stessi di provvedere alla salute dei propri figli nei modi che ritengono più idonei»
Fonte: http://www.comilva.org/wp-content/uploads/2014/09/DISP_TdM.Ancona_304.99.PP-1271.pdf
[17] Il quale ha modificato l’art. 47, 2° comma, ultima parte, D.P.R. 1518/1967 in questo modo (grassetto di chi scrive): «La mancata certificazione [delle vaccinazioni obbligatorie, n.d.r.] non comporta il rifiuto di ammissione dell’alunno alla scuola dell’obbligo o agli esami».
[18] D.G.R. 256/09 Emilia-Romagna, pg. 20: «Il diritto alla frequenza della scuola dell’obbligo ai bambini che non hanno eseguito le vaccinazioni che fanno capo a norme di legge è stato sancito con la nota interministeriale Sanità-Pubblica Istruzione del 23 settembre 1998 (inviata con nota regionale prot. n. 40062/PRC del 29.9.1998).
In maniera analoga si è espressa la Regione Emilia-Romagna riguardo alla frequenza ai Nidi e alle Scuole dell’Infanzia, soggette alla sua giurisdizione (nota Assessorato alla Sanità della Regione Emilia-Romagna, prot. n. 49240/SAS del 1.12.1998).
Allorché il caso ricorre, l’Azienda Usl competente per territorio deve ricevere debita segnalazione da parte delle scuole interessate».
[19] http://parlamento17.openpolis.it/atto/documento/id/360846.
[20] D.G.R. 1600/2013 “Modificazione della procedura di dissenso informato prevista dalle “Indicazioni alle Aziende Sanitarie per promuovere la qualità delle vaccinazioni in EmiliaRomagna” di cui alla propria Deliberazione n. 256/2009″, pgg. 2 e 3 (grassetto di chi scrive):
«Evidenziato che nel suddetto Piano [Piano Nazionale della Prevenzione vaccinale 2012-2014, n.d.r.] viene ripreso il tema del superamento dell’obbligo vaccinale attraverso la promozione dell’aumento della offerta attiva delle vaccinazioni e al contempo attraverso l’individuazione di indicatori e obiettivi di cui le Regioni dovrebbero dotarsi per arrivare a tale sospensione, così delineando la possibilità di concertare un percorso operativo comune, affiancato da un iter legislativo e amministrativo finalizzato alla sospensione dell’obbligo in questione
…
Rilevato che la Regione Emilia-Romagna ha già da tempo realizzato quanto previsto dal Piano Nazionale della Prevenzione vaccinale 2012-2014, attuando gradualmente il passaggio dal regime di obbligatorietà a quello di adesione consapevole – con sospensione dell’applicazione delle sanzioni amministrative – supportato da idonee campagne di comunicazione, da specifica formazione degli operatori e dall’adozione di protocolli specifici per la gestione dei soggetti inadempienti;
Ritenuto dunque di dover intervenire nuovamente nella materia, rendendo eventuale la segnalazione di omessa vaccinazione all’autorità giudiziaria minorile – subordinando detta segnalazione alla sussistenza di significativi indici di trascuratezza, incuria e abbandono o al mancato rispetto della procedura avviata dall’Azienda sanitaria – , anche alla luce della più recente giurisprudenza che ha affermato che l’inadempimento all’obbligo di sottoporre il minore alle vaccinazioni stabilite dalla legge va segnalato quando espressione di incuria o abbandono o mancato rispetto della specifica procedura prevista, in caso di dissenso alle vaccinazioni obbligatorie, nell’allegato A alla propria deliberazione n.256/2009».
[21] Solo esemplificativamente si segnalano:
http://www.huffingtonpost.it/2017/01/26/vaccini-obbligatori-accordo-storico_n_14417108.html;
http://www.repubblica.it/salute/medicina/2017/01/26/news/vaccini_lorenzin-regioni_serve_legge_nazionale_su_obbligo-156944969/;
http://www.corriere.it/salute/pediatria/17_gennaio_26/vaccinazioni-obbligatorie-nido-materna-serve-legge-tempi-brevi-bafd1420-e3dd-11e6-ad72-f8a0ef439db1.shtml.
[22] Fonte: http://www.aiom.it/professionisti/aiom-notiziario/vaccini-la-partita-dell-obbligo/1,3359,1,
[23] Vale a dire che si valuta se la nuova disposizione viene a collidere con il quadro sistematico di riferimento, rispetto al quale l’oggetto della questione costituisce un elemento estraneo o dissonante.
[24] Dott. DEIDDA Beniamino_Conferenza-Dibattito “Vaccinazioni: tra Scienza e Diritto”_Savona, 18 giugno 2016.
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