Varata nell’ottobre scorso, è entrata in vigore in Francia dal 1 gennaio 2018 la legge che sancisce il passaggio da tre a undici vaccinazioni obbligatorie per l’ammissione dei bambini nella comunità scolastica (asilo nido e scuola dell’obbligo).
Queste le otto vaccini precedentemente raccomandate che sono ora divenute obbligatorie:
– pertosse
– morbillo
– parotite
– rosolia
– epatite B
– Haemophilus influenzae B
– pneumococco
– meningococco C.
Che si aggiungono alle tre già obbligatorie:
– difterite
– tetano
– polio.
La Francia segue così le orme dell’Italia, dove la legge Lorenzin ha portato a dieci le vaccinazioni obbligatorie, escludendo i bambini da 0 a 6 anni se non vaccinati da asili e scuole materne e prevedendo sanzioni per la fascia di età 7-16 anni. In Italia, dal giugno 2017, sono obbligatori 10 vaccini (anti-poliomielitica, anti-difterica, anti-tetanica, anti-epatite B, anti-pertosse, anti-Haemophilus influenzae tipo b, anti-morbillo, anti-rosolia, anti-parotite, anti-varicella), e altri 4 sono fortemente raccomandati (anti-meningococcica B, anti-meningococcica C, anti-pneumococcica, anti-rotavirus).
Giustificata dalle stesse motivazioni di salute pubblica (“La prevenzione sarà perno della strategia sanitaria francese”, aveva annunciato il 4 luglio scorso il primo ministro, Édouard Philippe) la lista messa a punto da Parigi, a differenza di quella italiana, esclude il vaccino contro la varicella, mentre include l’anti-pneumococco e l’anti-menigococco C.
Perché questa scelta? E quali sono i criteri in base ai quali si stabilisce l’obbligatorietà di un vaccino piuttosto che di un altro? Il provvedimento francese e quello italiano rispondono effettivamente ad una esigenza di tutela della salute pubblica?
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